Sulla Tariffa rifiuti regolata dall’art. 49 del D.lgs 22/1997 non è dovuto il pagamento dell’Iva. Si tratta infatti di un’entrata tributaria, e non corrispettiva di un servizio. L’eventuale richiesta di rimborso si può avanzare entro 10 anni, e non entro il termine prescrizionale breve di 5 anni. A precisarlo è stata la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5627 del 7 marzo scorso. Il pronunciamento è stato originato dalla richiesta di restituzione di importi a titolo Iva che una decina di utenti del servizio di smaltimento dei rifiuti urbani, a Genova, si erano visti applicare dalla società responsabile sulle bollette emesse per riscuotere la relativa tariffa negli anni 2006-‘09: un ammontare che già il Giudice di Pace e il Tribunale avevano condannato la società a restituire. Si legge infatti nella sentenza degli Ermellini: “Con sentenza in data 5.12.2013 n. 3766 il Tribunale di Genova, decidendo sull’appello proposto da A. Genova s.p.a. avverso la decisione del Giudice di Pace resa ai sensi dell’art. 113 co 2 c.p.c., con la quale la società era stata condannata a restituire a G.B. ed altri nove utenti del servizio di smaltimento dei rifiuti urbani il complessivo importo di €. 625,00 indebitamente percepito a titolo IVA sulle bollette emesse per la riscossione della relativa tariffa negli anni 2006-2009, ha rigettato la impugnazione, ritenendo non assoggettate alla imposta sul valore aggiunto le somme versate dagli utenti a titolo di tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) e di tariffa di igiene ambientale (TIA) attesa la natura tributaria delle stesse.” La Cassazione, confermando quanto emerso nei primi gradi di giudizio, ha respinto il nuovo ricorso della società sulla base della natura tributaria del prelievo, peraltro ben riconosciuta sia dalla Corte Costituzionale, di cui si ricorda la sentenza 238/09, sia dalla Cassazione-Sezioni Unite, con la più recente 5078/2016.
Sentenza Corte di Cassazione 7 marzo