La grande distribuzione fa fatica a conformarsi alle nuove norme sugli shopper compostabili. A rivelarlo è una recente indagine condotta da Legambiente in 7 diverse regioni italiane. Su 37 sacchetti per la spesa prelevati presso diversi punti vendita della Grande distribuzione organizzata 20 non erano conformi alla legge. L’analisi di Legambiente testimonia che oltre il 54% dei sacchetti della spesa utilizzati nei supermercati italiani di fatto è fuorilegge perché non è compostabile, è prodotto con polietilene, la comune plastica, o ancora è biodegradabile, ma solo secondo lo standard UNI EN ISO 14855.
I sacchetti monouso biodegradabili e compostabili conformi alla legge, che possono essere tranquillamente utilizzati anche per la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti, devono avere la scritta ‘biodegradabile e compostabile’; la citazione dello standard europeo ‘UNI EN 13432:2002‘; il marchio di un ente certificatore che tutela il consumatore come soggetto terzo. Tutti i sacchetti che non riportano queste specifiche danno un’informazione sbagliata e non sono conformi alla legge, spiega l’associazione. La maglia nera dell’illegalità va alla Campania dove sono stati prelevati 7 dei sacchetti non compostabili. Seguono la Basilicata, la Puglia, la Calabria e il Lazio. Tra le 7 regioni in cui è stata compiuta l’indagine solo in Lombardia e in Veneto non sono state registrate irregolarità.
Analizzando i dati raccolti da Legambiente emerge che la città in cui circola il maggior numero di shopper non compostabili è Potenza, seguita da Avellino, Bari e Napoli. Per chi commercializza sacchetti non conformi o false ‘buste-bio’, dal 21 agosto del 2014, le sanzioni amministrative pecuniarie vanno dai 2.500 euro ai 25.000 euro. Cifra che può essere aumentata fino al quadruplo del massimo (quindi 100.000 euro), se la violazione del divieto riguarda quantità ingenti di sacchi per l’asporto oppure un valore della merce superiore al 20% del fatturato del trasgressore (art. 4, legge 28/2012).