Durante il convegno sull’economia circolare organizzato il 30 ottobre scorso da Il Messaggero il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha dichiarato che la plastic tax «va assolutamente rimodulata».
L’obiettivo è quello di «declinare il concetto di tassa sulla plastica in modo diversificato e per aiutare, attraverso il ministero dello Sviluppo economico, quelle aziende che vogliono cambiare il sistema produttivo. Non toccare tutto ciò che è compostabile, riciclabile e biodegradabile, e diminuire il packaging di plastica. Credo che l’accordo su questo sia raggiunto».
Il tema è assai delicato, in quanto come spiega l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi «una tassa tanto al chilo, indifferenziata, uguale per tutti gli imballaggi in plastica, monouso o meno, riciclabili o meno, fatti con plastiche riciclate o no, che genera introiti per fare cassa e finanziare altre spese, invece che destinarne i proventi alla prevenzione, al riutilizzo, al riciclo e alle raccolte, è in contrasto con gli indirizzi europei ed è inefficace dal punto di vista ambientale».
Che senso avrebbe, ad esempio, tassare l’impiego di plastica riciclata quando al contempo il decreto Crescita ha finalmente introdotto pochi mesi fa un primo (tra l’altro ancora in attesa di decreti attuativi) credito d’imposta per favorire proprio riciclo e riuso? Differenziare l’impatto della plastic tax consisterebbe inoltre di spingere la transizione ecologica di un’industria che in Italia occupa oggi 110 persone e che produce il 70% degli articoli che saranno messi al bando nel 2021 dalla direttiva UE sulla plastica monouso.
Ciò che è certo è che nonostante tutte le iniziative “plastic free” nel 2018 gli italiani hanno consumato 2.292.000 tonnellate di imballaggi in plastica, più dell’anno precedente, il 44,5% dei quali è stato poi avviato a riciclo, il 43% a recupero energetico e il 12,5% in discarica. In questo scenario si stima che l’introduzione della plastic tax non avrà ampie ricadute sul consumatore finale (l’aggravio si aggira attorno ai 2 centesimi per le bottiglie da 0,5 litri, 3 centesimi per quelle da 1,5 litri), ma sicuramente ce ne saranno in termini industriali e ambientali. Occorre dunque un approccio sostenibile e pragmatico.
«L’imposta sulla plastica – dettaglia il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, dallo stesso convegno cui è intervenuto anche il ministro Costa – ha lo scopo di disincentivare i prodotti monouso e promuovere materie compostabili ed eco-compatibili. Non è un’imposta generalizzata sulla plastica, materiale di cui difficilmente riusciremo a fare a meno, ma ha l’obiettivo di limitare l’impiego di oggetti che usi una volta e rimangono nell’ambiente per centinaia di anni. L’imposta sarà per esempio applicata sulla bottiglietta di acqua minerale ma non sulla borraccia che viene riempita più volte».
Mentre vanno definendosi le strategie a livello governativo, per Ronchi anziché introdurre una nuova plastic tax sarebbe più efficiente sostituirla con un adeguamento normativo del contributo ambientale (Cac) per gli imballaggi in plastica – aumentandolo quanto serve, ad oggi è pari a 450 milioni di euro all’anno – impiegandolo di più anche per la prevenzione, per la riduzione del monouso, differenziandolo, meglio di quanto già non si faccia, per gli imballaggi in plastica riutilizzabili e più facilmente riciclabili rispetto agli altri, e riducendolo in proporzione al contenuto di plastica riciclata.
Fonte Greenreport