Gestione dei rifiuti tessili urbani: le Associazioni UNIRAU e ARIU nel corso del Green Med Expo & Symposium lanciano l’allarme. Chiesto un incontro urgente con il MASE.
Il sistema di gestione dei rifiuti tessili urbani rischia di bloccarsi mettendo a rischio cooperative della raccolta, aziende della selezione e posti di lavoro, con un peggioramento delle prestazioni ambientali nella gestione di questi scarti proprio nel momento in cui a livello europeo e nazionale si compiono sforzi importanti per migliorarle.
L’allarme è stato lanciato dalle Associazioni UNIRAU (l’Associazione delle aziende e delle cooperative che svolgono le attività di raccolta, selezione e valorizzazione della frazione tessile dei rifiuti urbani) e ARIU (Associazione Recuperatori Indumenti Usati) nel corso del Green Med Expo & Symposium, l’evento dedicato ai temi green e alla circular economy in programma a Napoli, insieme alla richiesta di un incontro urgente con la Direzione Economia circolare del MASE per illustrare la preoccupante situazione.
La filiera della raccolta, selezione e valorizzazione della frazione tessile dei rifiuti urbani, abbigliamento, accessori e prodotti tessili per la casa, si è strutturata ed è cresciuta negli scorsi decenni in modo autonomo, in assenza di obbligo, almeno fino al 1° gennaio 2022 ed in assenza di risorse che arriveranno solo con la prossima istituzione di un regime di Responsabilità Estesa dei produttori (EPR). In pratica i Comuni affidano tramite gara la raccolta a Cooperative e soggetti dell’economia sociale che posizionano i cassonetti e svolgono il servizio a loro spese, venendo remunerati con la proprietà dei rifiuti raccolti e spesso pagando anche una royalty al Comune stesso.
I raccoglitori si finanziano quindi vendendo i rifiuti alle aziende della selezione che (dopo le procedure necessarie a far cessare la qualifica di rifiuto) a loro volta ottengono i loro ricavi dalla vendita in Italia ed all’estero dei prodotti di “second hand” e di vintage nei vari livelli qualitativi e dalla trasformazione di quanto non riusabile a lavorazioni di “downcycling” quali imbottiture, pezzame industriale, materiali fonoassorbenti. Questo delicato equilibrio rischia a breve di rompersi per due cause concomitanti. La prima è determinata dalle crisi economiche causate dalle guerre che funestano mercati che da decenni acquistano abbigliamento usato come l’Ucraina e l’Est in generale, il Nord Africa, il Libano e l’Africa sub Sahariana. La seconda è la crescente tendenza delle norme europee e di conseguenza delle dogane a frenare le esportazioni di rifiuti e di prodotti usati di fascia bassa, purtroppo sempre più presenti nelle raccolte a causa del dilagante fast fashion. In più, gli impianti di selezione oggi dispongono di magazzini che si stanno rapidamente riempiendo a causa del rallentamento dei mercati.
Se il legislatore europeo decide di bloccare le esportazioni della frazione riusabile meno qualitativa verso mercati nei quali andrebbe comunque in competizione con fast fashion scadente, in assenza di impianti per il riciclo o per la trasformazione energetica di queste frazioni l’equilibrio salta e la raccolta rischia di fermarsi. Grossi quantitativi di raccolte differenziate di rifiuti tessili non più avviabili a riuso finirebbero in discarica o termovalorizzatore con forti aumenti dei costi di gestione delle aziende della selezione che non potrebbero più pagare le raccolte alle cooperative, che a questo punto non avrebbero più le risorse per pagare i costi del servizio e tantomeno le royalties ai Comuni.